incontrando

“Giusto il tempo di un bicchiere di vino o di una tazza di caffè”.
Abitanti, passanti, frequentatori abituali, raccontano il loro rapporto con Piazza Tasso e San Frediano.
Andrea Buzzegoli dà ospitalità alla Culinaria Bistrot di piazza Tasso 13 rosso, Francesca Tofanari raccoglie parole, Imco Brouwer e Franco Guardascione fotografano.

I silenzi pieni di parole di David

“Ci sono locali, gente a giro, movida, è un quartiere vivo”.
David Cangelli

Difficile entrare nei pensieri di David, poche parole ma sguardo attento dietro al cappellino con la visiera, e un silenzio che si riempie di storie da ascoltare più che da raccontare. Sono le storie dei suoi amici con cui è cresciuto in Piazza Tasso, di cui fa parte anche lui che è arrivato nel quartiere, in via San Giovanni, quando aveva un anno. Per cinque anni se n’è andato a vivere al Ponte di Mezzo, ma poi è tornato “all’ovile”, perché è difficile stare lontani da San Frediano quando ci sei cresciuto. E ha trovato una piazza più pulita grazie al Comune che non ha voluto lasciarla in preda al degrado. Fa il cuoco a San Niccolò, David, ma la sua passione è la Street art e anche la pittura, che ha ereditato da suo padre, e gli piace aggiustare le biciclette e seguire le partite del Calcio Storico, anche se non ha mai pensato di giocarci.

Il sorriso di Antonella

“Non potrei andare a vivere in un altro posto”.
Antonella di Ludovico

Antonella guarda piazza Tasso dalla finestra della sua casa sopra il supermercato, un condominio di sole tre donne, dove sotto ci sta la Maria che tiene sempre tutto sotto controllo. Guarda una piazza dove c’è vita, dove i ragazzini giocano e gli anziani chiacchierano, che con il buio non le incute timore. Antonella dalle origini maremmane che questa piazza l’ha scelta come luogo di vita; anima d’artista e mente sempre proiettata verso il mondo, ai suoi viaggi in Asia, Indonesia, Nord Africa, e al sogno di Petra, forse, dopo la pandemia. Sempre con un sorriso, dietro il ciuffo biondo e le unghie d’oro.

Il cuore di Nilesh

“Finché ci siamo noi l’anima e il cuore di questo quartiere non morirà mai”.
Nilesh Dhondoo

Nilesh è giovane, carino e ha un sogno: giocare nei Bianchi di Santo Spirito. Ha un nome esotico, ma il suo cuore è in San Frediano, dove è nato e cresciuto con la compagnia dei ragazzi del rione. Piazza Tasso l’ha visto bambino, a giocare a calcio con gli amici, con le mamme che stavano a guardare. Volavano cazzotti, i grandi picchiavano i tossici, ma erano una protezione perché i bambini potessero giocare, e loro si sentivano sicuri. Ha girato il mondo come pizzaiolo Nilesh, che ha dovuto lasciare la casa di San Frediano per trasferirsi a Casellina; ha acquistato una casetta alle Mauritius, ma torna sempre nel suo quartiere che ha qualcosa di magico.

La piazza, i bar e i legami più forti

“I legami più forti sono sempre stati qua, perché le persone venivano accettate per quello che erano”.
Matteo Poggi

Da piccolo, Matteo andava a trovare lo zio Carlo che faceva il carbonaio in piazza Tasso. È nato negli anni ’70 ma si ricorda bene dei monti di carbone che mettevano nei sacchi, e anche dei pulimentatori e dei bronzisti che facevano una grossa produzione di lampadari e candelabri e che oggi non ci sono più. I suoi genitori stavano in via di Camaldoli e, anche se lui è cresciuto al Pignone, la sua vita di ragazzo è legata a San Frediano e alla piazza dove si ritrovava con gli amici, che sono ancora quelli di oggi. Allora c’erano le compagnie, ci si trovava nei bar, dove c’erano anche i boss di San Frediano, quelli che tenevano l’ordine, e nel retro si giocava alla toppa. «Quando non c’erano i telefoni, se volevi vedere qualcuno, andavi al bar e potevi essere sicuro di non stare mai da solo». La piazza era un centro di aggregazione, dove la gente andava per incontrarsi e stare insieme, anche a perdere tempo. «Alla fine degli anni’80 ho visto il cambiamento di San Frediano, che è diventato da quartiere residenziale a quartiere di ristoranti».

Il mondo poco cool di Loriano

“Il più grosso problema della civiltà moderna è la scomparsa dei bar intesi come ritrovo di gente, dove c’erano il nonno, il babbo e il figliolo”.
Loriano Stagi

Il fatto che San Frediano sia considerato un quartiere cool, Loriano proprio non lo accetta. Per lui che ci è nato e cresciuto è un’altra cosa. Nei suoi ricordi ci sono i vecchi artigiani, gli amici che si chiamavano con i soprannomi: il Cola, il Papposo, lo Sbullettato, il Bestemmino, lo Strozzagalletti, il babbo che era il Gocciola. Ci sono i vecchi mestieri che non esistono più: «Sapete cos’è lo spangeo ghineo?» chiede. Per lui piazza Tasso è quella dove alle Leopoldine davano il minestrone ai poveri a mezzogiorno e dove c’erano le case degli indigenti. È la piazza dove da ragazzo giocava a calcio e ai ritti; dove andava con il barroccio partendo da via dell’Orto con la mamma, la Mora, a vendere i capirotti alle donne che stavano al sole; dove per la festa della Rificolona sparava i pirulini di carta con gli spilli. “Noi non si sapeva cosa fosse lo psicologo: avevamo la strada, ci insegnavano il rispetto, con le buone o con le cattive”. Questo era il mondo di Loriano, e quello che vede oggi quando si affaccia dalla porta della “Vecchia Bettola”, il ristorante che ha aperto nel 1979, è per lui qualcosa di estraneo.

Gli occhi di Romano

“Ora non è più bello. Mi piacerebbe rivedere i bambini in piazza a giocare a muriella e colombina”.
Romano Ciappi

Gli occhi di Romano raccontano una vita, anzi molte vite, perché lui ne ha passate tante e ha fatto sempre come ha voluto, senza paura. Raccontano di un uomo che non ha esitato ad usare le maniere forti quando c’era da liberare Piazza Tasso dagli spacciatori per proteggere i ragazzi più giovani, insieme alla moglie Vanna “madre coraggio”; raccontano dei tempi della “toppa” e di “Romanone”- come lo conoscono quelli del cinema Universale – che non esitava a tirare schiaffi, ma anche a dividere un pezzo di pane quando in San Frediano ci si aiutava l’uno con l’altro. Piazza Tasso l’ha visto nascere su una panchina nel 1940, bimbo di otto chili, da mamma Bruna. Quella piazza che lui ama e che oggi lo vede un po’ provato nel fisico, ma con la mente sempre in movimento, come le sue mani che accendono un’altra sigaretta.

I muscoli e la nostalgia di Dado

“Una volta qua c’era solo il quartiere. Quando venivano da fuori dovevano fare quello che si diceva noi. Nulla a che vedere con quello che era prima”.
Eduardo Giustini

È un vulcano Eduardo detto Dado, una presenza che illumina la stanza quando entra, riempiendola di parole, di ricordi, perché lui il cuore l’ha lasciato a San Frediano, nonostante la vita l’abbia portato ad abitare a Campo di Marte con la sua compagna e i suoi due bambini. Basta ritrovare i suoi amici per ripercorrere i loro giochi in Piazza Tasso, quando si disputava Argentina-Brasile con le magliette “taroccate” del mercatino, quando le porte di casa non avevano la chiave e il bar dove tutti facevano colazione la mattina, rimaneva aperto fino a mezzanotte; per ricordare la “stanzina dei bambini” all’angolo con via del Leone dove si facevano le rificolone, la ludoteca di via della Chiesa per i più piccoli e il centro in via dell’Ardiglione per i ragazzi. Dado, dieci anni nei Bianchi di Santo Spirito e una vita non facile, un lavoro da cuoco nella Macelleria di Sant’Ambrogio e i muscoli dietro il maglione bianco che tradiscono una carriera da pugile.

Il ragazzo che guardava la piazza dal muro di cinta

“Mi sto facendo coccolare da Firenze, ho ricominciato a girare a piedi per le strade e dopo un anno e mezzo cammino ancora con il naso all’insù”.
Luca Torrigiani

Luca è tornato a Firenze da un anno e mezzo, dopo tanti anni trascorsi a Milano per lavoro, e la sua casa è ancora lì in via del Campuccio, dove da bambino guardava dal muro di cinta piazza Tasso, i ragazzi che giocavano e la giostra con i “calci in culo”. Ha un modo di parlare pacato e gentile, Luca, e gli occhi che sorridono quando riaffiorano i suoi ricordi di bambino, delle botteghe artigiane che per lui erano una specie di paese dei balocchi, dei marciapiedi dove si cardava la lana, si restauravano mobili e si facevano fascine di legna. «È un mondo in parte sparito, ma vedo persone giovani che hanno riaperto, che hanno ritrovato uno spirito imprenditoriale, tenendo ben presente l’estrazione artigiana. Questo è un plus non solo per il quartiere, ma anche per Firenze. Non è un caso che San Frediano sia stato considerato il quartiere più cool del mondo». Spesso si mette a sedere su una panchina in piazza Tasso, che trova migliorata con il giardinetto e le infrastrutture semplici; gli piace osservare i ragazzi che giocano a calcio, vedere le integrazioni, e avere un contatto con le persone, conoscerle. «Mi siedo e guardo, con lo stesso spirito di quando ero bambino. Sono qui da un anno e mezzo e già qualcuno mi saluta».

I piccoli sanfredianini di Antonella

“È importante che i bambini percepiscano il senso di unione e di appartenenza e che gli anziani avvertano un senso di continuità”.
Antonella Pintucci

Antonella è nata in piazza del Carmine, ma oggi abita in piazza Tasso, la sua piazza di bambina, dei giochi da maschio che preferiva a quelli da femmina. È il luogo che l’ha vista crescere, figlia di un quartiere che un tempo era come un paese e non mancava mai il controllo da parte di tutti; un quartiere che per lei oggi rimane l’unico del centro a dimensione umana. Qua Antonella si sente a casa e non ha problemi a uscire, anche la notte, magari con il suo barboncino nero Basquiat. Storica dell’arte, ha scelto di lavorare con in bambini alla scuola Torrigiani e a loro vuole donare una piazza che non è come quella di allora, perché il tessuto sociale è cambiato e non mancano i problemi, ma è centro di socialità e di interculturalità e, come dice lei: “Cerchiamo di fare delle differenze una ricchezza”.